Festo – Il palazzo del silenzio e della luce

Angela: dopo Cnosso, pensavo che nessun altro palazzo minoico potesse colpirmi allo stesso modo. Ma Festo è diverso. E forse proprio per questo, ancora più affascinante.

Piero: qui non c'è ricostruzione, nessuna colonna ridipinta, nessun affresco riprodotto. Solo pietra nuda, sole, vento e una vista che si apre ampia sulla pianura della Messarà, fino al profilo dell’Ida, il monte sacro.

Angela: ed è proprio questo che lo rende potente. Cnosso è spettacolo. Festo è poesia.

Piero: secondo la leggenda, questo era il regno di Radamanto, fratello di Minosse, giudice giusto e saggio. In qualche modo, il palazzo sembra rispecchiarne il carattere: meno teatrale di Cnosso, più misurato, più sobrio. Ma non meno grandioso.

Angela: il primo palazzo viene costruito intorno al 1900 a.C., ma viene raso al suolo da un terremoto. Il secondo, quello che vediamo oggi, è del 1700 a.C., anche se nuove scosse e incendi lo danneggiano più volte. I Minoici, però, tornano sempre a ricostruire.

Piero: e lo fanno con grande intelligenza. Il sito è scelto con cura: in cima a un colle che domina la vallata, con pendenze naturali che i costruttori trasformano in forza. Il palazzo è disposto su più livelli e si adatta al paesaggio, invece di combatterlo.

Angela: la rampa cerimoniale che conduce all’ingresso è ancora oggi imponente. È larga, leggermente inclinata, fiancheggiata da grossi blocchi di pietra. Da lì si accede al grande cortile centrale, uno spazio rettangolare delimitato da colonne e gradinate, che doveva accogliere cerimonie pubbliche, danze rituali, incontri politici.

Piero: il cortile è l’asse portante di tutto l’edificio. Come a Cnosso, è il fulcro attorno a cui ruotano magazzini, aree residenziali, officine, depositi. Ma qui il ritmo degli spazi è diverso: più arioso, meno labirintico. La geometria è più leggibile, più razionale.

Angela: e questo rende la visita quasi meditativa. Ci si muove tra spazi aperti e ombreggiati, tra scalinate ampie e piattaforme che sembrano terrazze naturali. Alcuni ambienti conservano ancora i resti delle soglie in marmo, le basi delle colonne, le soglie con incavi per l’incastro delle porte.

Piero: uno degli ambienti più suggestivi è il megaron reale, probabilmente una sala cerimoniale, con pavimentazione in gesso e tracce di pitture parietali.

Angela: ma ci sono anche il quartiere occidentale, dove si trovavano gli uffici amministrativi, e l’archivio, con resti di tavolette d’argilla.

Piero: nel settore sud ci sono i magazzini, con enormi pithoi — le grandi giare in terracotta — ancora in piedi nelle loro cavità rettangolari nel pavimento. Alcune conservano le impronte del contenuto: olio, grano, vino, legumi. Era il cuore economico del palazzo.

Angela: e non dimentichiamo la scalinata meridionale, una delle più grandi dell’architettura minoica. Sei gradini larghi e bassi, che creano una sorta di cavea, una tribuna all’aperto. Alcuni archeologi pensano che qui si tenessero rappresentazioni religiose o politiche.

Piero: il punto più misterioso, però, resta quello dove fu scoperto il celebre Disco di Festo, nel 1908. È una tavoletta circolare di argilla con 241 simboli disposti a spirale, impressi con timbri. Ancora oggi non ne conosciamo il significato: potrebbe essere una preghiera, un messaggio, un gioco. Ma quel disco è diventato simbolo di tutta la civiltà minoica: raffinata, enigmatica, affascinante. Ne parleremo e lo vedremo dopo…

Angela: e poi il panorama. La luce cambia di ora in ora, scivola sulle pietre, scolpisce le ombre. Di fronte, la pianura fertile, punteggiata di ulivi e vigneti. Dietro, i monti. E tutto intorno… silenzio.

Piero: un silenzio pieno di memoria. Festo è la parte più intima di Creta: non urla, ma sussurra. Non si impone, ma resta. È il palazzo che parla solo a chi sa ascoltare.

Angela: anche qui vale il suggerimento di visitarlo nelle prime ore del mattino perché fa veramente caldo e ci sono pochi spazi dove ripararsi dal sole.

Piero: proprio per questo è meglio separare in due giorni diversi le visite dei due palazzi.

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Gortyna – La legge nella pietra