Aruba: tra sabbia bianca, vento costante e sorrisi caraibici

Angela: quando la nave attracca al porto di Oranjestad, ci accoglie subito un’esplosione di colori: facciate rosa, giallo limone, azzurro pastello. Le case sembrano uscite da un quartiere olandese, ma immerse nella luce abbagliante dei Caraibi.

Piero: l’isola di Aruba è la più piccola delle tre sorelle, ma anche la più vivace e cosmopolita. È a soli 25 chilometri dalle coste del Venezuela, eppure fa parte del Regno dei Paesi Bassi. Una combinazione che si sente ovunque: nella lingua, nei sapori, nei volti.

Angela: la sua storia affonda le radici nei secoli. I primi abitanti sono i Caquetío, un ramo del popolo Arawak, che vive di pesca e agricoltura. Quando nel 1499 arriva l’esploratore spagnolo Alonso de Ojeda, l’isola entra nel dominio spagnolo. Ma non ha oro né piantagioni, e viene presto definita “Isla Inútil”.

Piero: nonostante questo giudizio ingeneroso, Aruba trova un suo destino. A metà del Seicento passano gli olandesi, che ne fanno una base strategica e un punto di sosta per le rotte mercantili. Nei secoli successivi la sua posizione geografica la rende preziosa: è vicina al Sud America ma politicamente stabile, un porto sicuro nel cuore dei Caraibi.

Angela: nel Novecento arriva la svolta. Gli americani costruiscono qui una raffineria di petrolio per lavorare il greggio venezuelano, e Oranjestad diventa un piccolo centro industriale. Ma dagli anni ’80 Aruba cambia ancora volto e punta tutto sul turismo. Oggi è una delle destinazioni più amate del mondo, con un clima perfetto e spiagge da sogno.

Piero: cominciamo la nostra giornata proprio da una di queste: Eagle Beach, una delle più belle spiagge dei Caraibi, con sabbia bianca impalpabile e mare turchese che sfuma in mille tonalità. Gli alberi di divi-divi, piegati dal vento costante, sono il simbolo dell’isola e sembrano indicare la direzione del sorriso.

Angela: il vento è una presenza costante. Qui soffia tutto l’anno, ma è dolce e fresco. È quello che rende Aruba perfetta per chi ama windsurf e kitesurf, ma anche per chi vuole solo passeggiare con i piedi nell’acqua senza sentire il caldo opprimente.

Piero: proseguiamo verso Palm Beach, il cuore più mondano dell’isola, dove si susseguono resort, ristoranti e piccoli bar sulla sabbia. È la zona perfetta per chi cerca un po’ di vita e musica caraibica, ma basta percorrere qualche chilometro per ritrovare la natura selvaggia del Parco Nazionale Arikok.

Angela: Arikok copre quasi un quinto dell’isola e custodisce un paesaggio inatteso: rocce vulcaniche, cactus giganti e antiche grotte con pitture rupestri arawak, come la Fontein Cave. Qui si capisce quanto Aruba sia diversa da molte altre isole caraibiche: più arida, più ruvida, ma anche più autentica.

Piero: all’interno del parco ci sono anche piscine naturali come la Conchi, incastonata tra le rocce laviche e raggiungibile solo in fuoristrada. L’acqua è limpida e calma, protetta dalle onde dell’oceano che si infrangono appena fuori. È uno di quei posti dove il tempo si ferma davvero.

Angela: e appena fuori dal parco, ci fermiamo alle formazioni rocciose di Ayo, un luogo magico che sembra uscito da un racconto geologico. Enormi massi di diorite, levigati dal vento e dal tempo, si innalzano nel deserto come sculture naturali. Alcuni pesano decine di tonnellate e si bilanciano in modo perfetto l’uno sull’altro, creando archi e passaggi misteriosi.

Piero: gli antichi Arawak consideravano questo sito un luogo sacro: sulle rocce restano ancora oggi incisioni e pittogrammi che testimoniano riti e cerimonie legati alla natura e al cielo. Camminare tra questi massi silenziosi, in mezzo ai cactus e alle lucertole che si scaldano al sole, regala una sensazione di pace profonda.

Angela: risaliamo poi verso nord fino alla California Lighthouse, costruita nel 1910. Da qui la vista abbraccia tutta l’isola: il mare infinito a ovest e le colline aride a est, con le pale eoliche che girano lentamente nel vento.

Piero: poco distante si trova la chiesetta di Alto Vista, costruita nel 1750, il primo luogo di culto cattolico dell’isola. È minuscola, dipinta di giallo, e circondata dal deserto di pietre e cactus: un simbolo di fede e resistenza che racconta la spiritualità semplice degli arubani.

Angela: il pomeriggio lo dedichiamo al mare ancora una volta, questa volta nella baia di Baby Beach, un’insenatura perfetta per lo snorkeling, con acque basse e tranquille che riflettono il cielo. I pesci nuotano a pochi centimetri dalla riva, e il tempo sembra sospeso.

Piero: Aruba è “One Happy Island”, come recita il suo motto ufficiale. Ma dietro quel sorriso c’è una storia fatta di mescolanze, di resilienza e di apertura al mondo.

Angela: mentre la nave riparte e le luci di Oranjestad si allontanano, l’isola resta impressa nella memoria come un abbraccio caldo e luminoso. Il vento continua a soffiare anche quando non lo senti più, come se volesse dire che qui la felicità è davvero nell’aria.

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